top of page
DSCF9231-2.jpg

Quando il vento soffia dal Nord

  • Immagine del redattore: Lorenzo Gianuario
    Lorenzo Gianuario
  • 9 mar 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 16 dic 2024

Riflessioni su Amleto di Shakespeare

 


ree

J.E. Millais, «Ophelia», 1851-52

 


Un vento tagliente spira da Nord, come un soffio d’oltretomba che attraversa l'orizzonte notturno s’infrange sulle alte mura del castello di Elsinore. Qui si è appena effettuato il cambio di guardia, e all’improvviso, pallido come un raggio di luna filtrato nella foschia, compare uno spettro. È l’anima sofferente di Amleto, il defunto Re di Danimarca, che aleggia dinnanzi agli occhi increduli delle sentinelle e tace, avvolto in un mantello di silenzio e dolore. Non intende proferire parola con loro. Scorgendo poi la presenza del Principe Amleto, suo figlio, a lui si rivolge, chiedendogli che sia fatta vendetta del suo brutale assassinio. Avvelenando Re Amleto, infatti, Claudio ha usurpato il trono, si è impossessato della Regina Gertrude e ha macchiato di disonore e immoralità l’intero stato di Danimarca. Nell’udire la verità sulla morte del Re, il Principe, disgustato e colmo di rabbia, è deciso a uccidere Claudio per vendicare l’onore di suo padre.

 

Amleto, però, appare impreparato ad agire. Esita, riflette, dubita sulla veridicità di quanto appena udito, poi mette a punto un piano per smascherare Claudio ed in breve tempo precipita in una forma delirante di pazzia: «Io sono pazzo solo a Nord-Nord-Ovest. Quando il vento viene dal Sud, distinguo un falco da una colomba». Ma da cosa è generata la sua pazzia? È evidente che se nel presente dramma si trattasse soltanto di una questione di vendetta tutto sarebbe presto risolto con un colpo di spada e l’assassinio di Re Claudio, ma in verità c’è qualcosa di «altro» e indecifrabile che si insinua nell’animo di Amleto. Qualcosa di indistinto lo tormenta già da molto tempo, in una tensione interiore che frena la sua azione – è il dubbio ad avvelenare la mente di Amleto, aspetto a cui Shakespeare fa esplicito riferimento nel celebre monologo:

 

«Essere o non essere, questa è la domanda»

 

Infinite sono le interpretazioni avanzate dalla critica letteraria tra XIX e XX sec. riguardo al “problema” di Amleto. Goethe ne fece un esempio di eroe romantico; altri invece lo hanno identificato come prototipo di uomo moderno, come colui che scevro da certezze precostituite riguardo l’Aldilà, si interroga liberamente attorno alla propria esistenza. Ed è proprio per il fatto stesso di esser privo di certezze che egli, assalito dal dubbio, resta annientato sotto il peso della propria coscienza. Una lettura originale è invece avanzata da Thomas S. Eliot, che si concentra non tanto sull’Amleto personaggio, quanto su Amleto visto come opera nel suo complesso. La questione viene qui posta sul piano del cd. «segreto dell’arte drammatica in generale», vale a dire, sul piano del linguaggio specifico della drammaturgia.

 

Leggiamo, infatti, nel suo saggio critico sull’Amleto (1928), che la pazzia di Amleto deriverebbe dall’impossibilità dell’Autore di dare una efficace rappresentazione della sua interiorità sul piano artistico – il problema è cioè quello di trovare un correlativo oggettivo adeguato, necessario ad evocare l’emozione di disgusto e malessere che avvelena la vita del principe danese. Ma il malessere di Amleto si cela in una dimensione che non coincide tanto con la psiche in quanto pensiero, ma con la “zona d’ombra” del pensiero stesso.

 

Nonostante Shakespeare sia ben consapevole dell’impossibilità di quanto si accinga a fare, è comunque fortemente motivato a mettere in scena l’«inesprimibile orribile», quella zona d’ombra della psiche non traducibile nel linguaggio specifico della drammaturgia, ma che pure lacera l’animo dell’uomo. Il problema, per essere chiari, sta nel non poter accostare ad Amleto alcun elemento “esterno” che possa evocare, in noi ed in via mnemonico-associativa, lo stato interiore del protagonista. In altri termini, Amleto-opera è il tentativo da parte di Shakespeare di rappresentare nel dramma quell’esperienza psichica che eccede i fatti – quell’esperienza che in quanto aberrante rispetto alle circostanze esterne resta indefinibile sul piano drammatico – e perciò incomunicabile.

 

Nel suo saggio, Eliot si appresta a precisare che anche qualora Shakespeare avesse aggravato la condotta di Gertrude, così da far risultare “giustificata” la folle condotta di Amleto, si sarebbe data la formula per una diversa situazione emotiva, e il suddetto “problema artistico” sarebbe stato ancor meno risolto. È in questi termini che Amleto è da considerarsi un fallimento artistico, scrive il poeta americano. Si tratta di un’opera che si spinge «oltre» il drammaturgico, nel suo tentativo di raccontare l’incomunicabile, ma che proprio per questo è da considerarsi come opera unica e inedita nel panorama della Letteratura. Notiamo, nell’atto I, lo stesso Amleto dire:

 

«Ma io ho dentro ciò che non si mostra – Fuori ci sono i fronzoli e le maschere del dolore»

 

Ma nel considerare il problema di Amleto solo sul piano della cd. “questione artistica”, non si tiene conto di quanto il tema della pazzia venga sviluppato nell’opera. Se all’inizio Amleto finge la propria pazzia per mettere in azione il suo piano contro Claudio, nel prosieguo la sua follia è reale: e con un colpo di spada trafigge l’incolpevole Polonio. Shakespeare adopera tutti gli strumenti narrativi utili a delineare con precisione la deriva psichica del protagonista, e ci fornisce anche una chiave di raffronto efficace per comprenderne la natura: il personaggio di Ofelia. Colpita dal dolore per l’uccisione di suo padre Polonio, per mano di Amleto, la povera ragazza perde la ragione.

 

Ma la pazzia di Ofelia è di altra natura rispetto a quella di Amleto. Ella perde infatti la ragione oppressa dal dolore del suo cuore spezzato, un dolore reale, vivo – Amleto sembra piuttosto vittima di un eccesso di ragione e lucidità, che in lui annienta tutto, anche il sentimento, l’amore e la compassione. Shakespeare ci indica la pazzia come uno stato di disequilibrio tra la mente e il cuore: così, l’eccesso di ragione e la perdita della stessa sono presentate come due configurazioni speculari di pazzia.

 

Non è del tutto condivisibile l’affermazione di Eliot, secondo cui l’opera sia un fallimento artistico, perché Shakespeare è riuscito comunque a diagnosticare con precisione lo stato psichico del protagonista. Conscio di non poter adoperare lo strumento del correlativo oggettivo esterno – che come giustamente afferma Eliot è impossibile nel caso di Amleto – Shakespeare adopera una sorta di “raffronto speculare” che ha come perno il personaggio di Ofelia. La giovane rappresenta infatti la chiave di comprensione della natura del problema psichico di Amleto. Se da un lato il malessere di Amleto non è evocabile attraverso un correlativo oggettivo esterno, Shakespeare riesce però a individuarne la causa, ovvero, l’eccesso di ragione, il gelo dell’anima – speculare a quell’oblio in cui cade Ofelia – e che pone il protagonista in una condizione esistenziale di incertezza e di dubbio, che lo annienta, sia nell’azione che nel sentimento.

 

Commenti


Lorenzo Gianuario

Lorenzo Gianuario

Copywriter creativo e pubblicitario - Giurista - Critico d'arte - Scrittore

 

ATTENZIONE: AntidotoBlog® è un marchio registrato – Tutti i diritti di utilizzazione economica, diffusione e pubblicazione dei contenuti presenti su questo sito, sono riservati – I contenuti ivi presenti costituiscono proprietà intellettuale protetta dalle norme civili e penali previste dalla legge sul diritto d'autore L. 633/1941, e sono regolarmente registrati presso la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) – Lorenzo Gianuario©

bottom of page